mercoledì 12 dicembre 2007

Foto di guerra e videofonini di pace



di Bruno Bonsignore, da Milano

Sono andato a trovare Oriana Fallaci l’ultimo pomeriggio della sua visita a Milano.

L’hanno accolta degnamente in una dozzina di sale piene di lei. Grandi schermi col suo volto che domina le dissolvenze, filmati di trasmissioni televisive, teche tappezzate di ritagli di giornali e riviste, vetrinette coi suoi libri tradotti e decine di lettere personali dei potenti del mondo. Ho letto le risposte che le hanno spedito cercando di immaginare cosa lei avesse scritto, e ho ascoltato le domande dirette e indagatrici che sapeva scagliare senza imbarazzo. A Indira Gandhi chiede se non ci fosse un inutile orgoglio nel rifiutare gli aiuti del mondo intero per la sua India sconvolta dalla carestia, a Robert Kennedy se non avesse un preciso progetto di dinasty della sua famiglia per governare gli Stati Uniti, e poi la vedo nella tenda di Gheddafi accusarlo di avere liquidato centinaia di giovani dissidenti e, seduta davanti a Khomeini, si toglie il chador e lo accusa di tirannìa...

Oriana ci ha documentato con le sue parole anche i drammi più terribili risparmiandoci spesso l’atrocità gratuita delle immagini. Come quella del generale Loan capo della polizia sudvietnamita che prima di uccidere il prigioniero vietcong con un colpo di pistola alla testa fa schierare i reporter con le cineprese pronte a girare. Sì, la guerra è anche questo. E alla Fallaci che più tardi lo accusa di crudeltà Nguyen Loan risponde “ Madame! io crudele…? Che dice? Può un uomo che ama le rose essere un uomo crudele?”.

Penso alla ragazzina travolta qualche giorno fa da un mezzo pubblico e i suoi compagni di scuola che riprendono la scena col loro videofonino, pronta per YouTube. E questo non è guerra. E’ il buio dell’indifferenza dalla quale Oriana Fallaci ha cercato di richiamarci urlando fino al suo ultimo respiro

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