Postato da: Virginia Fiume
Articolo tratto da: Corriere della Sera 13 ottobre 2007
Come ve lo immaginate il cattivo di una grande multinazionale con grandi colpe? Bè, immaginatela cattiva. Una cattiva ben vestita, sfiancata dalla fatica di far carriera, in ansia per il nuovo incarico di potere. E terrorizzata quando capisce che il lavoro sporco tocca a lei. Donne così, cattive per forza, in Occidente ce sono sempre di più; il loro ritratto geniale/estremo e il loro peggiore incubo lo si vede da una settimana in un film,
Michael Clayton di Tony Gilroy. L’antagonista di George Clooney-Clayton è il nuovo capo dell’ufficio legale della U/North, multinazionale chimico-biotech: Karen Crowder, interpretata da Tilda Swinton; bravissima nel mostrarsi, nella sua ambizione, insicura e imbranata.
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Tilda Swinton in Michael Clayton |
Karen-Tilda pensa di farcela grazie alla preparazione ossessiva e allo stile di lavoro garbatamente secchione. Rapidamente scopre che deve fare di più e di peggio. Deve essere lei, non il presidente che se la porta sempre dietro come superbadante-factotum, a trattare con gli addetti (ufficialmente inesistenti) alle attività illegali della multinazionale: intercettazioni, pedinamenti e omicidi. Deve essere lei, chiamata di corsa dal cupo Verne, a parlare con lui in mezzo a una strada di notte; a decidere cosa fare dell’avvocato impazzito con in mano il rapporto che prova come centinaia di agricoltori siano morti di cancro per un diserbante della U/North. E a tremare di paura nel cappotto di cammello quando Verne le chiede: «Va bene cosa? Va bene ho capito o va bene procedo?». E a rispondere «va bene proceda», e il giorno dopo l’avvocato è morto. E qualche giorno dopo, siamo al cinema, finisce male lei.
All’uscita del cinema in quanto sala, intanto, capitano discussioni da mondo alla rovescia. Maschi neanche politicamente corretti a commentare «certo che film misogino, che cliché di donna in carriera sola e maniacale pronta a ordinare omicidi pur di conservare un po’ di potere». E femmine tutt’altro che casalinghe, magari con gran lavori, magari come Tilda-Karen workaholic e singole, a replicare «no, è tutto vero, più vero del vero. L’angoscia nel rendersi conto di dover fare porcherie, e poi il ritrovarsi a farle. Quella potrei essere io, anzi fino all’omicidio no, non potrei essere io, ma qualche mia amica forse sì». Sì perché le donne sono diventate cattive? O perché diventano importanti solo le donne cattive? Oppure perché, per diventare importanti, le donne devono accettare ruoli da cattiva? Sono gli unici (importanti) che a loro offrono, spesso, sostengono alcuni studiosi. Dicono che c’è ancora, ma un po’ meno spesso, il buon vecchio glass ceiling: il soffitto di vetro, che, invisibile maimpenetrabile, blocca le carriere femminili. Ora si porta il glass cliff, il burrone di vetro. Le donne vengono promosse; ma promosse ai posti di responsabilità più rognosi e rischiosi. A rischio di perdita della reputazione, e di fallimento.
Il termine glass cliff è stato inventato da un gruppo di ricercatori dell’università di Exeter, in Inghilterra, coordinati dagli psicologi Michelle Ryan e Alex Haslam (lo studio si può leggere su Internet, il sito si chiama ovviamente The Glass Cliff). Comparando risultati di aziende e settori di aziende e presenza di capi donna, il gruppo di Exeter ha concluso che «alle donne vengono dati molto più spesso che agli uomini incarichi manageriali in settori con basse performances» se non in situazioni critiche. Così, «alle donne dirigenti succede molto più spesso di trovarsi sull’orlo di un burrone di vetro che ai dirigenti uomini; per questo le loro posizioni di leadership sono più rischiose e precarie».
Ma le accettano lo stesso: «Succede perché le donne hanno ancora tante difficoltà ad arrivare in cima. E quando gli viene offerto un ruolo manageriale colgono l’opportunità, per quanto possa essere un ruolo difficile. Gli uomini hanno più scelta ». Mentre le cattivissime ragazze capo diventano tali causa opzioni scarse: accettano posti rischiosi pensando «quando mi ricapita un’occasione del genere, potrebbe essere la prima e l’ultima per provare quanto sono brava». E allora dicono di sì, e vengono regolarmente complimentate con frasi come «Però, è una bella sfida» (lo dicono aTilda Swinton nel film, è capitato amolte di noi; Tilda Swinton risponde con più grazia di molte di noi perché si è preparata prima). Anche perché, ha spiegato Ryan in un’intervista al Guardian, quando una donna accetta un posto rischioso non può contare su grandi appoggi; molto meno degli uomini con posti simili, sicuramente (sarà anche questo un luogo comune, ma a Exeter ci hanno fatto degli studi).
Succede nel mondo anglosassone, succede nei film, ora succede anche in Italia, alle volte. Se si chiede (anonimamente) a donne con ruoli importanti arrivano risposte come: «Altro che. L’ultima è di questi giorni, mi son sentita dire "vabbé, ci sono un po’ di errori nel bilancio, vedi un po’ tu cosa puoi fare". Ora sto rivedendo il bilancio, e se non quadra la colpa èmia». Oppure: «Sì, Michael Clayton l’ho visto, e Tilda Swinton mi è piaciuta. Maora vorrei un film in cui ha la stessa parte, è cattiva sul serio, e invece di fare per forza la mandante di killer manda i killer ad ammazzare il presidente. Il mio? No, alla fine gli voglio bene, è che sono troppo buona». Come parecchie nuove cattive, effettivamente.