di
Virginia Fiume da Milano
Nel 1981 a Bogotà, durante l'Incontro femminista latinoamericano dei Caraibi venne fissata la data del 25 novembre come "giornata mondiale contro la violenza sulle donne". In memoria delle sorelle Mirabal, compagne di dissidenti della Repubblica Domenicana al regime militare del dittatore Trujillo: le tre un giorno in cui stavano andando a trovare in carcere i loro compagni vennero intercettate da agenti dei servizi segreti e violentate e torturate, e infine uccise. Quel giorno era il 25 novembre 1960.
In Italia ieri si è tenuta una grande manifestazione a Roma. Una manifestazione cui hanno partecipato 100.000 donne, per attirare l'attenzione e gridare tutta la rabbia di una parte della popolazione, non solo italiana, ma anche mondiale, che vede le violenze, gli abusi e le molestie come prima causa di morte. Il 52 % della popolazione mondiale.
Sì, perchè essere donna può significare anche questo: morire per la violenza.
Per questo è stata organizzata una manifestazione per dire che la violenza da parte degli uomini "non è un problema strutturale, insito nelle relazione tra uomini e donne in un sistema patriarcale come il nostro", per dire che le donne "non ci stanno in un pacchetto violenza, vogliono cultura del rispetto".
Per chiedere al Governo di finanziare le Case delle Donne, i Centri Antiviolenza, la rete dei servizi sociali.
Nelle file delle manifestanti c'erano centinaia di donne musulmane e rom, perchè la violenza anche tra le file dei loro uomini si annida, e il caso di Hina, sgozzata dal suo stesso padre perchè troppo
occidentale, è forse quello più impressionante. Senza pensare alle centinaia di migliaia di donne vittime dell'infibulazione, invisibile offesa alla dignità femminile.
anni '70 (archivio fotografico partito radicale)
Mancava qualcuno però tra le file delle manifestanti. Gli uomini.
Nonostante un acceso dibattito sui blog delle associazioni organizzatrici si è deciso di tenere fede all'idea iniziale, una manifestazione di sole donne per le donne.
Per riconoscere la propria autonomia e la propria indipendenza, per dire a tutti "ce la possiamo fare da sole", per non dare agli uomini l'"ennesima stampella. Se vogliono possono organizzare contro manifestazioni o una manifestazione in qualunque altro giorno dell'anno".
Una rabbia grande, che forse fa perdere di vista l'importanza di essere uniti senza colori bandiere e generi per il raggiungimento degli obiettivi. La stessa rabbia che ha accecato la minoranza di donne che hanno spinto Stefania Prestigiacomo e Mara Carfagna ad abbandonare il corteo.
O la Bindi e la Pollastrini a non intervenire sul palco. Tutte considerate, per diverse ragioni, "traditrici". Non compagne, non donne, non persone che ricoprono quei ruoli istituzionali che, forse, sono l'unica piccola possibilità di cambiamento politico.
Sicuramente un errore anche dal punto di vista culturale.
Io personalmente preferisco l'approccio della "lettera aperta alla piazza delle donne"pubblicata su Aprileonline da alcuni giovani degli anni '80, che si reputano figli della rivoluzione sessuale e del femminismo, e che dicono: "Siamo cresciuti nella convinzione che uomo e donna siano due entità complementari e che il cambiamento culturale necessario si possa produrre solo attraverso l'azione comune".
Insomma, dopo la cacciata delle traditrici viene da sperare che si possa continuare a credere nella forza dirompente delle azioni comuni. O che chi ci crede non perda la voglia di lottare per questo approccio mentre diventa grande.
Almeno le donne.
La lettera alla piazza delle donne dei giovani di Aprileonline
http://www.aprileonline.info/5212/lettera-aperta-alla-piazza-delle-donneLa risposta di Olivia Fiorilli "Perchè una manifestazione di donne per donne"
http://www.womenews.net/spip3/spip.php?article1202
Il dibattito sul sito CONTROVIOLENZADONNE sull'opportunità o meno della partecipazione maschile
http://controviolenzadonne.freewordpress.it/2007/10/27/sommovimento-femminista/