lunedì 23 febbraio 2009

Il debutto di Jovanotti a New York

di Elena Maria Manzini da New York

La settimana scorsa Jovanotti e' venuto alla conquista dell'america! Pur conoscendo benissimo la citta', Lorenzo aveva sempre visitato New York solo come turista, ma si e' rifatto alla grande con due concerti sold out, una confereza all'Istituto di Cultura Italiana e un'incontro con i fan alla Casa Italiana. 
La conferenza all'istituto di cultura, alla quale ho partecipato, era moderata dal giornalista/scrittore/esperto di musica Pietro Negri:
PN. Qual e' il tuo rapporto con New York?
J. Quando sono arrivato a New York la prima volta mi e' sembrato di tornare in un posto, non di arrivare: New York ha il potere di farti sentire in newyorkese dopo 15 minuti che cammini per strada perche' e' una citta' che ti sembra di conoscere. Noi in Italia non siamo piu' in grado di creare una mitologia moderna, NY invece rappresenta una nuova mitologia che si basa sulla musica e sui film.  Quando ero ragazzo io mi sono innamorato della musica attraverso New York perche' il rap e l'hip hop nascono a NY. Ascoltavo i rapper newyorkesi e non mi importava se capivo o no le parole, rimanevo affascinato da ritmo. Devo pero' ammettere che negli anni non sono mai riuscito a scrivere una canzone a New York, qui sono piu' ricettivo che creativo ci sono troppo stimoli, troppi imput.

PN. Cosa ti attirava nella cultura di New York?
J. New York era uno specchio immaginario che rifletteva la realta' in cui vivevo. Io abitavo vicino al Vaticano e vedevo tutti i giorni centinaia di pellerini arrivare da ogni parte del mondo proprio come accade a NY dove passa un infinito flusso di persone. Pero' NY era una realta' immaginaria dove non c'erano genitori che litigavano e fratelli con cui dividere la stanza. Ho ritrovato questo nel rap, e' un frullatore di espressioni, una musica che utilizza i rifiuti degli altri campionando le melodie di diverse canzoni. E' una musica povera che nasce dalla cultura africana a NY, ma che ha un'identita' molto forte e moderna. Quando ero un bambino il rap mi piaceva perche' era accessibile, non dovevi essere un cantante, ma solo avere ritmo e ripetitivita'. 

PN. Come e' stato salire su un palco a New York?
J. Mi ha fatto piacere suonare per "poche" persone. Io vengo da un tour dove c'erano migliaia di spettatori, ma mi sono sentito un po' come i grandi di qualche decennio fa, Dylan suonava per 50 persone in locali minuscoli. La cutlura rock ci ha abituato a concerti con decine di migliaia di persone, ma fortunatamente ora grazie alla tecnologia possiamo fare cose piccole che pero' possono avere un ampio respiro. Possiamo girare un video con il telefonino e raggiungere tantissime persone attraverso internet o la televisione. 
Mi piacerebbe molto tornare a suonare a New York, abbiamo in progetto di venire per qualche mese e fare dei piccoli concerti sempre nello stesso locale.

Se vi interessa, potete sentire anche l'intervita rilasciata ad una giornale italo-americano.
www.i-italy.org/7197/ascolta-jovanotti-intervista-esclusiva-new-york-la-sua-musica-e-obama

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