di Virginia Fiume, da Milano
Alla fine del presidio una ragazza tibetana mi offre un biscottino. Ci sorridiamo.
E' la stessa che poco prima con un megafono in mano dava il via al coro: "Cina, Cina- assassina". Di fianco a lei c'erano due "militari cinesi" che tenevano ammanettato un monaco. Un'immagine per niente simbolica. Dura nel suo realismo.
I cori sono stati scanditi per un'ora e mezza, davanti a Palazzo Marino, dagli esponenti della Comunità Tibetana in Italia, dell'associazione Amici de Tibet, dell'Associazione Italia Tibet, dell'associazione donne tibetane in Italia. Insieme a loro radicali di Milano, Torino, Como, Novara e Lecco, insieme ad Amnesty International, gli esponenti di Socialismo Libertario. Tutti che ascoltano in silenzio il levarsi dell'inno nazionale tibetano alla chiusura del presidio, prima che venga scandito per l'ultima volta lo slogan più importante: per tre volte "Tibet Libero".
Tutti avvolti nelle bandiere del "tetto del mondo".
Si conclude così il sit in di sostegno ai monaci tibetani in protesta a Lhasa. In un clima surreale, perchè c'era in tutti la consapevolezza che un conto è gridare a Milano "Tibet Libero" oppure "Wake up Wake up Onu". Ma non si può non pensare con il cuore un po' più pesante a quello che succede a Lhasa, dove le manifestazioni vengono represse con la violenza. Si parla di cento morti, per non parlare del sequestro di telefonini e macchine fotografiche.
Il governo cinese ha dato un ultimatum per lunedì mattina per incentivare i tibetani a interrompere le proteste iniziate il 10 marzo, 49° anniversario dell'insurrezione del popolo tibetano contro l'occupazione cinese.
Il governo cinese non ha alcuna voglia di avere i fari puntati addosso. Ma è una delle poche conesguenze positive dei Giochi Olimpici di Pechino: non si può più fare finta di non vedere.
Ben chiare le richieste dei tibetani:
1) la condanna della brutale repressione che ha colpito i monaci che hanno manifestato per chiedere diritti di cui non godono. Gli arresti comportano lunghe torture e prigione a vita.
2) che l'Onu e l'Unione Europea condannino il Governo di Pechino e, come nel caso della Birmania, inviino un inviato speciale
3) che i giornali inviino giornalisti
4) che i prigionieri politici vengano liberati prima dell'inizio dei Giochi.
5) che le cittadinanze sostengano la lotta nonviolenta del popolo tibetano.
ALCUNI APPROFONDIMENTI:
- la rivolta in Tibet e la marcia del ritorno in Tibet qui
- boicottaggio sì- boicottaggio no: qui
- la storia del Tibet qui
- il sito della Comunità tibetana: qui
- le interviste di Radio Radicale durante la manifestazione qui
domenica 16 marzo 2008
15 marzo- da Milano a Lhasa: presidio di sostegno ai monaci tibetani
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2 commenti:
perfetto direi ;)
L'immobilismo dei governi, l'azione ipocrita degli USA, la cui economia si poggia quasi totalmente su capitali cinesi, non fanno altro che confermare quanto questo mondo ormai riconosca il danaro come unico motore capace di muovere emozioni e volonta'.
Che tristezza e che rabbia!
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